San Fidenzio 02 settembre 2015





 

Incontro annuale di formazione per docenti ed educatori

Seminiamo il mondo di bellezza, di misericordia e di speranza

     Buon giorno a tutti voi qui presenti e l’augurio di cuore che in questo convegno possiamo riconfermarci, rinsaldarci, attraverso ciò che ci verrà comunicato, nella coscienza del significato, della sostanza e quindi del valore, soprattutto oggi, del nostro essere educatori. Il tema educativo che siamo chiamati a concretizzare nei prossimi anni
è, come vedete, orientato alla SEMINA. Se siamo qui vuol dire che, nonostante le inevitabili fatiche, crediamo che la scuola, la nostra scuola, è innanzi tutto un campo, anzi “il campo” in cui piccoli uomini, piccole donne, ma anche noi adulti cresciamo per riconoscere quello che siamo: figli di Dio. Figli amati, ognuno prediletto, ognuno curato, ognuno custodito come pupilla dell’occhio, perché la dignità di ognuno è talmente alta da far inginocchiare davanti a ciascuno il nostro Redentore che non lascia ad altri il privilegio di lavarci i piedi. In una lettera del 12 gennaio 1840 Santa Teresa insegna: Considera coteste giovanette che la Provvidenza ti affidò immagini di Dio stesso e frutto del sangue del tuo Signore, e come tali, abbine quella premura, quell’impegno, quella cura che si meritano.
         
 Ciò premesso mi sembra naturale partire dal Vangelo che in modo sicuro orienta la riflessione di tutti coloro che sono in cerca di Verità. In Mt. 13,3b leggiamo “Un seminatore usci a seminare. E mentre seminava una parte del seme cadde sulla terra e vennero gli uccelli e la divorarono. Un’altra parte cadde in luogo sassoso , dove non c’era molta terra; subito germogliò perché il terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. Un’altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. Chi ha orecchi intenda .” Questo Seminatore, apparentemente distratto, sembra non preoccuparsi di dove cade il seme. Ancora una volta il Vangelo ci propone la figura di uno scialacquatore, di un dissipatore, di uno sperperatore, come quella del figlio prodigo o quella della donna che unge i piedi a Gesù con una spropositata quantità di profumo. In realtà quel seminatore vuole lasciar cadere il seme dappertutto, perché quel seminatore è Dio, il seme è Gesù e il campo è ognuno di noi nelle diverse circostanze che la vita prepara. Dio Padre vuole che la vita di Gesù germogli nei cuori, più o meno aridi, dei figli che il Figlio unigenito gli ha acquistato prendendo su di sé il peccato del mondo e morendo, giusto per gli ingiusti, i quali, così, sono eternamente salvati anche e soprattutto da se stessi. Per Dio l’importante, dunque, è seminare, spargere il seme. Anche l’educatore, come il Seminatore del vangelo che esce e semina, ha la missione, Teresa direbbe “il ministero, altissimo e divino” di entrare in classe seminando a larghe bracciate la bellezza della vita che lui vive, i gesti di misericordia e di accoglienza verso i più deboli, la speranza che presto o tardi il seme sparso prenderà vita nel cuore di chi ascolta. La preoccupazione dell’’educatore, come quella del Seminatore, non deve essere quella di capire come viene accolto il seme che lui getta, ma solo di spargere il seme. L'uscire del Seminatore è un movimento d'amore. Incipit exire qui incipit amare, scrive sant'Agostino, comincia a uscire chi comincia ad amare. L’educatore quando ama esce da sé, non si preoccupa della propria tranquillità, non mira ad essere autoreferenziale, autocentrato, autosuf-ficiente. Va verso gli educandi per consentire loro di fare esperienza della bellezza di Dio, della misericordia di Dio, facendo come Gesù, cioè sospendendo il giudizio. Ancora Santa Teresa nel Libro dei Doveri ci avverte: “Dovendo correggere e castigare, prima di tutto consultate Dio, protestando dinanzi a Lui che non vorreste essere mosse guidate che dallo Spirito suo e dalla sua purissima carità. Indi aspettate il tempo opportuno e le circostanze favorevoli e studiate il modo più proprio, efficace, e meno aspro e irritante per toccare salutarmente la colpevole. “ (Dov. III, 367 - 368)
          L’educatore secondo il Cuore di Dio semina con abbondanza, senza guardare se il terreno nel quale cade il seme è pronto o no. Nella parabola, solo un terreno su quattro fa fruttificare il seme. Non siamo chiamati a verificare il risultato del nostro seminare, ma come il seminatore, che é Dio, a seminare sempre, anche quando i nostri educandi sembrano non essere ricettivi. Dobbiamo essere coscienti che non sappiamo in quale momento della vita essi porteranno frutto. E nemmeno sappiamo quale frutto porteranno. Magari un frutto apparentemente insignificante, a cui nemmeno avevamo pensato, ma prezioso agli occhi di Dio, oppure faranno una riuscita meravigliosa… Il seminatore non si stanca, dona con generosità tutto il seme della bellezza, della misericordia e soprattutto della speranza.                        L'andare incontro agli altri, senza giudizi e distinzioni, è seminare seguendo lo stile della parabola, lo stile evangelico. Questo deve essere il nostro stile, questa è l'immagine di una scuola, di un pensionato, di un convitto che non si impone, che non cerca rilievi e trionfalismi, ma che cerca innanzitutto il positivo delle persone, il seme di Dio deposto in loro da far crescere accompagnando il loro cammino con l’impegno di essere per loro sorelle e fratelli maggiori. Insieme, presidi, docenti, suore, educatori, siamo chiamati a cercare quei cammini che ci aiutano a rinnovare lo sguardo sulla realtà dei nostri educandi: guardiamoli con amore in questo momento di crescita, per tanti di loro carica di sofferenza e difficoltà, accompagniamoli, senza imporre soluzioni, nella ricerca del meglio per il loro futuro. Devono sentire che noi abbiamo fiducia nel loro cammino, nella loro crescita. Non facciamo pesare su di loro le nostre delusioni, i nostri dubbi. La nostra Fondatrice di nuovo ci soccorre. Sempre nel Libro dei Doveri, nel capitolo dedicato al modo di educare dice: “Persuadetevi che il buon esempio è indispensabile e se trovate che i vostri insegnamenti cadono vuoti, o hanno poco effetto, esaminate la vostra condotta e la troverete difettosa appunto là, ove le vostre istruzioni sono meno efficaci. (Dov. III, 346) Siamo chiamati a vivere la fiducia paziente del contadino, il quale comincia sempre dal seme e sa che la crescita non dipende da lui e vive con saggezza le diverse stagioni, quella della semina, della lunga attesa e della mietitura, sapendo che il tempo del miracolo non è la semina, né la raccolta, ma il tempo durante il quale il seme depositato nel terreno dorme e non ritiene che il tempo invernale, quello in cui lui è forzatamente inoperoso, sia perciò stesso un tempo inutile. Impariamo a valutare la pienezza del tempo dalla forza della presenza di Dio, non dal nostro lavoro o da qualsiasi altra forma di protagonismo. E allora coltiviamo prima nel nostro cuore e poi seminiamo in quello dei nostri affidati:
• la bellezza che salva il mondo,
• la misericordia che è amore per l’umanità
• la speranza che ci fa vedere il fiore mentre lo stiamo seminando.
Ancora una piccola sottolineatura: vivremo più serenamente il nostro servizio quando accoglieremo l’evidenza che:         “Il campo di Dio è grande, il Regno viene in modo invisibile e sorprendente, e non è vero che dobbiamo sempre e solo seminare, nell’inevidenza. Anzitutto c’è da mietere, riconoscendo il lavoro degli altri e benedicendo Dio per tanta larghezza, sparsa ovunque, oltre gli schemi e le attese.” (Doc. XVIII Cap. Gen.)

Concludo con una poesia di Don Ottaviano Menato:

Semina, semina: l’importante è seminare
un poco, molto, tutto:il grano della speranza.
Semina il tuo sorriso, perché tutto splenda intorno a te.
Semina la tua energia, la tua speranza,
per combattere e vincere la battaglia
quando sembra perduta.
Semina il tuo coraggio,
per risollevare quello degli altri.
Semina il tuo entusiasmo,
per infiammare quello del tuo prossimo.
Semina i tuoi slanci generosi, i tuoi desideri,
la tua fiducia, la tua vita.
Semina tutto quello che c’è di bello in te,
le più piccole cose, i nonnulla.
Semina, semina e abbi fiducia: ogni granellino arricchirà un piccolo angolo della terra.

suor Lorenza Morelli f.s.c.j.
superiora provinciale

 

 

Brescia Sicar

     La gioia della semina

                       e della cura

Viviamo già da tre anni l’esperienza di accompagnamento delle ragazze del Collegio Universitario che le Figlie del S.Cuore gestiscono da molto tempo nella città di Brescia. Un servizio bello e appassionante sotto tanti aspetti: ci permette di curare e accompagnare la crescita delle ragazze, offrendo loro, oltre a un luogo accogliente e idoneo per lo studio, anche la “compagnia” di sorelle che hanno a cuore la vita di ciascuna ed esprimono con il loro servizio la vocazione a cercare per ognuna il bene migliore. “Do la mia vita”, tematica educativa che ha fatto da sfondo in questo anno accademico, è stata la sfida che abbiamo assunto e portato avanti come comunità: per questo ci sembra che il tentativo di vivere e far vivere l’obiettivo proposto, ha fatto crescere noi, in primo luogo! …siamo ‘custodi’ della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro… (Papa Francesco)
      In questi anni di servizio ci stiamo rendendo conto che la nostra opera è un mezzo di evangelizzazione forte, ma allo stesso tempo sfidante perché non è detto che chi viene da noi voglia poi fare un cammino di adesione alla proposta di crescita umana e di fede che offriamo.

      È dunque necessario, ce lo diciamo sempre tra di noi, non dare nulla per scontato e, soprattutto non imporre, ma proporre la bellezza della “vita buona secondo il Vangelo”, che se vissuta come tale, diviene di conseguenza un dono per gli altri. Ci sembra che l’approccio giusto sia particolarmente curare le relazioni e il “clima” della convivenza, convinte che tutto diventa “educativo” se ci sentiamo animate da un sincero desiderio di bene per ciascuna di loro. Ci sono poi momenti qualificati di formazione per i quali chiediamo l’aiuto di persone capaci di sviluppare i temi secondo le necessità che intravediamo urgenti per loro. “Do la mia vita” è stato così coniugato con il “dono di sé nel rapporto di coppia”, vissuto secondo il disegno originario di Dio, attraverso alcuni incontri con un docente di teologia morale dell’Università Cattolica e la testimonianza di due coniugi che vivono un’esperienza di fede particolare, concretizzata nell’accoglienza di figli non propri. Altri momenti di vita poi si alternano in Collegio: momenti in cui celebriamo, in cui facciamo festa, condividiamo…
      Abbiamo incontrato naturalmente degli ostacoli in quest’anno di cammino, sperimentando spesso la fatica di trovare modi e tempi per trasmettere, accanto all’obiettivo specifico dell’anno, anche la logica evangelica che sottende alla nostra missione, bella e appassionante, sì, ma dagli esiti incerti, talvolta …
      Sperimentiamo altresì la gioia di qualcuna che, avendo già terminato gli studi e lasciato il Collegio, torna esprimendo riconoscenza e mostrando i frutti, anche se piccoli, di un cammino di crescita fatto in questi anni. Per tutte, in particolare per chi ha più bisogno, la nostra offerta rimane quella di uno stile di vita in cui si condivide molto e si cresce insieme. Anche se tutto questo non è facile, rimane però bello ed entusiasmante!
suor Daniela S, suor M. Letizia e suor Lorella  fscj

 

San Fidenzio 02 settembre 2014

***incontro di studio

           per docenti, educatori

                                 personale della scuola ***

"Custodire il Creato, riabitare la terra "

Buon giorno a tutti e grazie per essere qui, insieme, per ascoltarci e per ridirci la passione che ci anima al di là e al di sopra di tutti i problemi che siamo chiamati ad affrontare nel nostro essere educatori oggi.

Mi introduco in questo tema così importante  e sfidante “ …e Dio vide che era molto  buono…con un proverbio Talmud:

“L’uomo dovrà render conto

di tutto ciò che i suoi occhi hanno visto

e di cui egli non ha goduto!”

Perché il tema di questo incontro è sfidante?  perché  ci invita ad aprire gli occhi, non solo quelli della vista, ma soprattutto quelli  della mente e del cuore su chi abbiamo vicino e su ciò che ci circonda, tenendo presente che tutto trae origine dal disegno di amore di Dio che vuole le Sue creature, la Sua creazione, come segno, come presenza del Suo amore  e credere questo, scriveva papa Benedetto XVI  «illumina ogni aspetto dell’esistenza e dà il coraggio di affrontare con fiducia e con speranza l’avventura della vita».

         Dio,  al vertice della creazione, frutto del Suo amore,  pone l’uomo, maschio e femmina, cioè costitutivamente relazione, fatto per la comunione con l’altro e affida alla signoria e quindi, alla libertà  dell’uomo, la Sua creazione perché la contempli, l’ascolti, la coltivi, la custodisca e tragga da essa il necessario nutrimento. Infatti nel libro della Genesi (1,29-31) leggiamo: -  E Dio disse:"Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: sarà il vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde". E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona-

 Il Concilio Ecumenico Vaticano II nella Gaudium et spes  (6) offre alla umanità la risposta biblica e cristiana: "... L’uomo infatti, creato a immagine di Dio, ha ricevuto il mandato di sottomettere a sé la terra con tutte le realtà in essa contenute per governare il mondo nella giustizia e nella santità, e di ricondurre a Dio se stesso e l'intero universo riconoscendo in Lui il Creatore di tutte le cose".

Si legge nella Genesi ( 1,4.10.12.18.21.31). «E Dio vide che […] era cosa buona […] era cosa molto buona» . Questa affermazione è ripetuta per  ben sei volte nel primo capitolo della Genesi ed esprime la convinzione fondamentale della grandezza e bellezza della creazione.

         La nostra Fondatrice scrive: 

 Osservate quante cose sono sulla terra... tutte furono tratte dal nulla dalla mano onnipossente di Dio.                           Ammirate il suo potere!!  E per chi mai le ebbe egli create? Dio non le creò per proprio bisogno poiché egli basta a sé stesso e da tutta l'eternità è beato senza che il mondo vi fosse. Non per gli Angioli, poiché le cose visibili e corporee non han proporzione alla loro natura invisibile e spirituale. Non a beneficio degli animali irragionevoli, poiché dessi non sono capaci di conoscerlo. Perché dunque le ha create? Le ha create per l'uomo. - Creò Iddio il mondo e in esso molte e belle cose: poi creò l'uomo, e tutte quelle cose diede alle disposizioni di lui. Alcune son create per suo sostentamento.. altre per conservarlo in sanità.. altre per sollievo della sua fiacchezza.. altre a sua ricreazione e diletto. Né solo ha Dio create tante cose per l'uomo, ma di più per l'uomo le conserva perpetuamente, e ad ogni momento ne fa all'uomo un dono con inesausta liberalità e amore indefesso. Ammirate la bontà del Signore”.

         Scelgo due verbi dallo scritto della mia Fondatrice che possono illuminarci e essere anche di guida per la formazione dei nostri ragazzi. Il primo è:

Osservate: osservare è guardare attentamente, esaminare, esplorare per capire e poi assumere. La Creazione è affascinante per la sua perfezione e se ci soffermiamo ad osservare le molteplici varietà della flora e della fauna, gli oceani, le stelle, i pianeti, la vastità dello spazio non possiamo che rimanere stupefatti.  La Terra è uno spettacolo incantevole con le sue alte vette, i laghi ed i fiumi, le valli e le fertili pianure, ma con i ritmi di vita che conduciamo al giorno d’oggi, siamo tutti sempre così presi dalle nostre attività ed impegni, che quando abbiamo del tempo libero, le nostre menti si focalizzano solo sulla ricerca di svago, o delle ore di meritato riposo e ci dimentichiamo di volgere lo sguardo alla perfezione della Creazione di Dio. Osservando la natura impariamo moltissimo. Se per esempio guardiamo l’acqua, cosa notiamo? 

- Si abbandona con sicurezza assoluta e può occupare tutti gli spazi vuoti che incontra. Si adatta seguendo le leggi fisiche, purifica, nutre, scorre da ogni parte, è flessibile.

- La sua trasparenza ci serve da esempio per liberarci dalle incertezze, dai timori, dalla doppiezza, e ci aiuta ad esprimere il meglio di noi stessi, per essere quello che siamo chiamati ad essere, pulendo così le nebbie che sporcano la nostra visione e non ci permettono di vedere il meglio che è in noi, attorno a noi e negli altri

         E così per ogni realtà creata, anche la più piccola, dal fiore, all’ape, o alla più grande al temporale, all’oceano: tutto il creato, se osservato con gli occhi del cuore e dell’intelligenza ci parla, ci insegna…e quindi è importante non solo osservare la natura, ma saperla ascoltare.

Un´antica tradizione teologica elaborata da Sant´Agostino e sistematizzata da San Bonaventura nel Medioevo dice : la rivelazione divina primaria è la voce della natura, il libro parlante di Dio. Per il fatto che abbiamo perduto la capacità di ascolto, Dio, per misericordia, ci ha dato un ulteriore libro che è la Bibbia, affinché, ascoltando i suoi contenuti potessimo nuovamente udire quello che la natura ci dice.( Boff)


Ammirate

Ammirare le meraviglie del creato: basta contemplare i petali di un fiore per sentirci piccoli di fronte a questa opera d'arte immensa, perfetta e cogliere così la

grandezza  e l’onnipotenza di Colui che nella creazione nulla e niente ha  lasciato al caso. Noi uomini vogliamo appropriarci della natura, vogliamo dominarla e dominare...ma ciò che  togliamo alla natura lei poi se lo riprende...ecco il perché del cambiamento del clima terrestre, degli uragani, tsunami del dissesto geologico....la natura è al di sopra dell'uomo...l'essere umano non può e non deve competere con essa poichè gli è stata data per usarla e trarne vantaggio.

E’ il saper ammirare ciò che ci circonda che diventa contemplazione e ci dà forza per riprendere contatto con la realtà e con noi stessi soprattutto ci aiuta a  saper vedere in ogni creatura il riflesso dell'amore di Dio, quella particella di Dio che ci rende simili a Lui, che ci fa essere dono agli altri soprattutto nel rispetto della loro realtà . L’amore alla natura è una pagina di storia della fede perché l’uso delle risorse della natura interpella l'uomo nel suo rapporto con Dio e nel suo rapporto con il prossimo. E un problema fondamentalmente, morale, etico, che mostra il legame tra le leggi fisiche e le leggi umane. E’ una strada che può condurre alla pace.  Papa Giovanni Paolo II  per la "Giornata della Pace" del 10 gennaio 1990 disse che la pace è minacciata "anche dalla mancanza del dovuto rispetto per la natura, dal disordinato sfruttamento delle risorse e dal progressivo deterioramento della qualità della vita. “ E rivolse a tutti gli uomini la sua esortazione: "Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato!".

Custodite

      Un animo in pace è un animo gratificato e grato. Solo la gratitudine per ciò che ci è donato ci permette di prenderci cura e di custodire con cuore aperto i doni ricevuti. L’osservare, l’ammirare e quindi capire la grandezza di ciò che ci  circonda fa nascere in noi il rispetto e la cura per la creazione.  Questo pensiero lo colgo da un invito che Papa  Francesco ha rivolto ai fedeli nella S. Messa di inizio del suo Pontificato: “ Vorrei chiedere,  per favore,   a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo ‘custodi’ della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per ‘custodire’  dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono!

Aiutiamoci allora a ricordare che non siamo padroni né di noi stessi, né di chi incontriamo e né del creato, ma solo custodi perché tutto ci è stato dato in dono. Ricordiamoci:  ogni volta  che  sfruttiamo, distruggiamo questi doni, distruggiamo il segno dell’amore di Dio nel mondo. Impariamo a custodire il creato come lo custodisce Dio, a guardare il Creato come lo guarda Dio e ad amarlo per il bene e il bello che ci dona.

Leggiamo nello scritto della mia Fondatrice che Dio non solo ha creato la natura per l’uomo, ma ne fa dono all’uomo con inesausta liberalità e amore indefesso. E allora noi che possiamo capire il dono di Dio per l’umanità intera e per ognuno di noi innalziamo, facendo  sgorgare dal cuore l’inno di lode, con le parole del salmo 8:

v  O, Signore nostro Dio,

   quanto è grande il tuo nome su tutta la terra:

   sopra i cieli si innalza la tua magnificenza.

v  Con la bocca dei bimbi e dei lattanti

affermi la tua potenza contro i tuoi avversari,
per ridurre al silenzio nemici e ribelli.

v  Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa è l’uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell’uomo perché te ne curi?

v  Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli,

di gloria e di onore lo hai coronato:
gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi;
tutti i greggi e gli armenti,   

v  tutte le bestie della campagna;

gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
che percorrono le vie del mare.

v   O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.

Grazie per avere insieme lodato il Creatore e buona collaborazione per il lavoro che ci attende.

QUANDO SI EDUCA?

Vivendo in un’epoca in cui prevale la logica del consumo, dell’accumulo superficiale, dell’”obesità cognitiva”dei ragazzi, educa chi cerca di capire cosa conta davvero, chi propone stimoli e contenuti in modo sobrio, meno consumistico e pur continuando ad essere “nutriente “ riesce ad essere anche “disintossicante”; chi si dà e tempo. Chi fa crescere la vita diritta e non si piega sotto il peso dei sensi di colpa o il timore di essere impopolare; chi si impegna a voler bene cercando il bene; chi smette di “amare” i bambini per essere da loro riconosciuto; chi ascia il protagonismo di sé per fare spazio all’altro che sta scoprendo la vita; chi consegna una “bussola”ma non imposta una rotta. Educa chi sa dire dei no e si allontana da logiche egoiste e particolaristiche; chi mostra la bellezza delle “ cose migliori” passando attraverso quelle impegnative che odorano di fatica e sacrificio; chi sa “potenziare” il proprio interlocutore (più è intelligente ?“potente”? l’ascoltatore, più è intelligente e potenziato il parlante). Chi sa esplorare i mondi possibili senza chiudersi nelle sue certezze; chi si incuriosisce e sa stimolare curiosità, chi suscita domande senza avere fretta di arrivare alle risposte, chi sa sorridere dei propri incidenti di percorso e adotta l’ironia, l’umorismo, la leggerezza per sé e gli altri; chi considera le emozioni come strumenti preziosi e fondamentali per la conoscenza del mondo sociale e culturale di cui siamo parte; chi è capace di leggere la complessità, di porre e trattare i problemi nel contesto, ma anche di collegare i saperi e dare loro senso; chi sa usare e sviluppare il pensiero che interconnette e non quello che separa. Chi è capace di “scommettere” porta in sé la consapevolezza dell’incertezza e quindi della speranza; chi sa dialogare con l’incertezza e aspettare l’inatteso; chi dà parole ed esempi che educano alla libertà; chi crede che l'istruzione e la cultura non sono ornamento accessorio, ma «strumenti» necessari di liberazione e di progresso; chi ha passione per la relazione e non teme i conflitti; chi è capace di dissotterrare tesori nascosti e di valorizzare le differenze; chi riconosce la necessità di un fine e frequenta le opportunità della vita; chi orienta progettualità e scelte personali;chi fa avanzare l’umanità verso orizzonti di giustizia e di pace. Sapremo seminare nel campo dell’uomo? Sapremo aspettare e accompagnare? Sapremo cercare senso e dare senso a parole e gesti? Si potrà investire ancora nella cultura come strumento di umanità e di identità? Si potrà testimoniare una coerenza rigorosa tra pensiero, parola e azione, attribuendo importanza fondamentale all’esempio? Si potrà tornare indietro? “Meglio una testa ben fatta che una testa ben piena”. Educare è un’arte proporzionale a ciò che si è e alla capacità di ripensarsi, di continuamente auto-educarsi e di tenere ferme “misure alte”, da offrire nella fatica e bellezza dell’impegno quotidiano.

Autore: Prof.ssa Toso

“DO LA MIA VITA ……

La relazione educativa che fa vivere

Già dai primi passi dentro questo ministero altissimo che è l'educare, ci soccorre una Parola che è stata annunciata e che abbia¬mo iniziato a masticare, perché la Parola di Dio va masticata, essa ci incoraggia, ci illumina, ci rassicura: "Io sono il buon/bel pastore conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, per loro io do la mia vita". Il Bel pastore, perché nel testo greco lo stesso aggettivo che traduce "buon" traduce anche "bello". Rammento Dostoevskij quando afferma: "è la bellezza che salva il mondo", è la bellezza che salva la nostra vita, come a dire c'è un principio di bellezza dentro ogni realtà. Ma non è l'uomo ad averlo messo e ha bisogno di uno sguardo capace di intercettarlo. Questo è il compito di ogni educatore.
Mi soffermo su alcune suggestioni che emergono da una prima lettura dell'inciso dell'evangelista Giovanni: l'attenzione è al pastore, alle pecore che conoscono. C'è una circolarità più volte ripetuta nel brano di conoscenza e di riconoscimento di una voce, di una presenza, di un'azione del prendersi cura che permette la vita, promuove l'umanizzazione, il crescere come persone. È una conoscenza generata da una fiducia reciproca, da una certezza che è a fondamento della dinamica dell'uscire da sé per esplorare, incontrare, porre in atto... agire.
L'immagine del buon pastore si concretizza in questo tratto fondamentale: lui conosce le sue pecore ed è una relazione sorprendente, è sufficiente che le pecore sentano la voce del pastore, non c'è bisogno che alzino lo sguardo, odono e lo seguono, si fidano, di una fiducia incondizionata, non hanno bisogno di controllare ... sanno da che parte andare anche se non guardano in faccia il pastore: suo compito è tracciare una traiettoria di vita.
Conoscono, odono e riconoscono nel cuore la voce, neanche i discorsi e i contenuti, così come per i bambini la voce della mamma: il bambino conosce la voce della mamma che lega, crea un ponte, un'alleanza con lui.
Questi due sono indissociabili, si capiscono e il bambino si affida senza indugio.
Prendersi cura ci dice la vita, ce lo ricorda il vangelo consente all'altro di superare la propria condizione di fragilità, è modalità ineludibile del nostro nascere al mondo. Senza una figura capace di dedizione materna, l'essere umano difficilmente continua a nutrire il desiderio di ex-sistere che lo ha portato alla luce. L'essere umano ha bisogno di ricevere cure per potersi aprire alla vita e di aver cura di sé per poter cogliere e gustare il valore della propria esistenza. Prenderci cura equivale a dare vita, equivale a condurre, aprire dei sentieri, delle traiettorie di vita, equivale a creare delle esperienze di vita buona che permettono a ogni bambino/ragazzo di scoprire, gustare e costruire il valore della propria esistenza.
Insisto su questo verbo: gustare. La Genesi ci ricorda che Dio creando l'uomo vide "che era cosa molto buona/bella". C'è un principio di bellezza che siamo chiamati a saper intercettare: la bellezza che sta salvando la vita di ogni piccolo uomo ha bisogno di uno sguardo che la intercetti, perché sia reso capace di gustare la bellezza della vita e sappia viverne. A differenza di tutte le altre creature della natura, egli ha bisogno dello sguardo di un altro per conoscere la sua bellezza, per essere se stesso ha bisogno di trovarsi dentro uno sguardo che sa riconoscere, dentro una relazione.
Mi pare di poter dire che questo possa essere la declinazione dell'invito evangelico del "dare la vita" non in unica soluzione, in un atto definitivo, evidentemente, ma in una quotidianità che è impregnata di tante priorità che ci chiedono riconoscimento, perché la vita possa essere generata. Non c'è un momento stabilito per dare vita, si genera vita quando è richiesto, non quando il protocollo lo prevede ... possiamo azzardare a dire che questa "postura generativa" che sa farsi carico della vita degli altri, è il substrato sul/nel quale noi educatori, genitori, insegnanti, catechisti operiamo, perché siamo tutti padri e madri anche se non abbiamo generato nella carne, paternità e maternità sono dimensioni interiori che ci appartengono e che richiedono di essere esercitate sempre. Il prendersi cura dell'altro nutre il desiderio di ex-sistere. Se ci soffermiamo sull'etimo di questo termine: "desiderio di strappare qualcosa alle stelle, qualcosa che sta in alto..." scopriamo un'indicazione fondamentale. Possiamo chiederci cosa centriamo noi con i desideri dei nostri ragazzi? Credo che il nostro compito sia quello di rendere accessibile, di rendere concreto e possibile il desiderio di ex-sistere: di venire alla luce, di darsi forma, di raggiungere quella forma di vita migliore possibile a cui ognuno è chiamato, di dare il meglio di sé. Ognuno di noi si insinua dentro questo desiderio e lo fa crescere tramite l'azione di cura che convoca a un agire, prima di tutto, acco¬gliente che è diverso da essere accettati, in quanto l'accettazione implica uno sforzo, accoglienza piena di stima che permette ad ogni limite di diventare un punto di forza. Generiamo vita prendendoci cura, diamo vita riconoscendo la vi¬ta dell'altro.
Il riconoscimento è fondamentale, è sostanza della relazione educativa, è uno sguardo che raggiunge e tocca la vita di chi ci è affidato e sa comunicare ciò che è vitale: tu esisti, tu vali, tu sei importante, tu ti stai costruendo, tu hai fatto dei passi, dei miglioramenti. Questa è la condizione perché ogni bambino, ragazzo, giovane, possa formarsi nella sua traiettoria evolutiva e nel proseguo della vita. E' proprio grazie al sentirsi riconosciuti che la persona assume la responsabilità della propria esistenza una volta giunti alla consapevolezza di sé e del proprio valore. Riconoscere per generare interiorità, perché i bambini/ragazzi imparino a voler bene a se stessi e agli altri, a indirizzarsi verso un progetto grande per il quale sono nati. E ogni educatore ha il dovere di saper condurre, di fornire strumenti, perché diano forma alla loro interiorità, tramite le parole, la riflessione sull'esperienza, la capacità di porsi interrogativi.
Nell'intento di capire chi sono e chi vogliono essere, i ragazzi sono chiamati a confrontarsi con un
 mondo fatto di pensieri, esperienze generate nel dialogo con l'altro, l'adulto che è punto di riferimento.
La relazione educativa ci richiede un grande investimento in termini di energie e di affetto per prestare attenzione, pensare, comunicare con l'altro, per essere riferimento per ciascuno e per tutti, ci richiede capacità di ascolto dentro un dialogo accogliente, attento, rispettoso dei tempi e delle emozioni che i giovani, soprattutto adolescenti, vivono con grande intensità e che gli adulti devono saper contenere, adulti fermi, ma accoglienti senza condizioni. A volte i ragazzi si ribellano per la loro fragilità e potersi fidare e affidare ad altri diventa la possibilità non solo per sopravvivere, ma per costruirsi come persone. Essere accanto a loro capaci di soddisfare le esigenze emotive, affettive, cognitive ci fa essere presenze rassicuranti nel momento in cui si trovano a confrontarsi con il nuovo e con l'incertezza che porta con sé.
L'essere presenti nella loro vita fa sì che si generi fiducia, essa scaturisce, da una vicinanza che dice "la tua vita è importante, mi sono accorto di te, tu vali". Come fa il bel pastore della parabola.
Di questo hanno bisogno, di educatori adulti che sanno scommettere sulle loro capacità, che sanno essere guida e sostegno, fermi e autorevoli quando è il momento per il ragazzo di misurarsi ... quando il confronto cede il passo allo scontro inevitabile, al contrasto così importante per fare il passo di crescita necessario.
Suor Luisa Ruggeri fscj

 

Bibliografia di riferimento
P. Dusi (2007), Riconoscere l'altro per averne cura, Editrice La Scuola
L. Mortari a cura di (2010), Dire la pratica. La cultura del far scuola, Bruno Mondadori
P. Dusi (2013), La comunicazione docenti-genitori, Franco Angeli Editore

 

Educatori e Carisma

 VERONA,  settembre....
  Ai Gestori- ai Presidi

         ai docenti ed educatori 
Carissimi, siamo all’inizio di un nuovo anno scolastico durante il quale siamo invitati a guardare i nostri affidati con occhi nuovi, con cuore aperto, pieno di speranza e di fiducia nel cammino che siamo chiamati a realizzare con loro, senza chiuderci nel nostro recinto di conoscenze acquisite, di metodi educativi sperimentati, sempre pronti ad aprirci al nuovo che la realtà di ogni giorno ci presenta attraverso le domande, le esigenze dei nostri alunni e a metterci a servizio della loro crescita nel dono totale di noi stessi perché l’educazione è:
- “ un ministero altissimo e divino“ (scriveva Santa Teresa nel lontano 1800 )che domanda continuamente di uscire da noi per incontrare l’altro. L’educare è vocazione, non è una professione qualunque poiché siamo chiamati a servire per far crescere quella porzione di umanità che ci è affidata da Dio per realizzare il progetto che Dio stesso ha su questa umanità e quindi siamo chiamati a consegnare la vita dei nostri educandi al futuro.
- la luce che illumina il cammino dei nostri educandi per aiutarli a crescere affinchè imparino a vivere e diventino uomini e donne adulte e mature, capaci di camminare, di percorrere la strada della vita con onestà e nella ricerca del meglio per loro e per tutti quelli che incontreranno
- l’atteggiamento del pastore che conosce le sue pecore, le chiama per nome ed è pronto a dare la vita per ognuna di loro
- la logica del seme che se non muore non può dare frutto
- farsi cibo poiché di giorno in giorno, di ora in ora siamo chiamati a sfamare l’intelligenza, il cuore dei nostri ragazzi e quindi a donare qualcosa di nostro perché loro crescano. Ripetiamoci spesso:”Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba.” (Paradiso Canto X,25) Parafrasando liberamente Dante diciamo in cuor nostro: ora, ragazzo mio, resta pure seduto al tuo banco a meditare su quello di cui ti ho offerto soltanto un assaggio, se vuoi provare la gioia che non lascia avvertire la stanchezza. Ti ho messo in tavola il cibo: ormai puoi servirti da solo…
Ecco perché si è scelto, per quest’anno, l’impegno educativo “ Do la mia vita ” da concretizzare attraverso un cammino di partecipazione tra noi educatori, coi nostri affidati, le loro famiglie e la società.
Desidero che la Parola di Dio, luce ai nostri passi, illumini il cammino che siamo chiamati a percorrere insieme quest’anno e parto dalla Parola che il Signore rivolge al Profeta Ezechiele perchè animi col cuore i pastori ai quali è affidato il popolo d’Israele. Anche a noi sono affidate persone da condurre, da guidare ecco perchè l’ascolto di ciò che Ezechiele (34,2b-6;11-16) dice ai suoi può aiutare la nostra riflessione.
“Dice il Signore Dio: Guai ai pastori d'Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite… Per colpa del pastore si sono disperse e son preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate. Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura……
Dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Le ritirerò dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti d'Israele, nelle valli e in tutte le praterie della regione. Le condurrò in ottime pasture e il loro ovile sarà sui monti alti d'Israele; là riposeranno in un buon ovile e avranno rigogliosi pascoli sui monti d'Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia.”
Al tempo di Ezechiele chi veniva identificato con la figura del pastore? Coloro che avevano campiti di guida e cioè i re, i giudici, i profeti, i sacerdoti, le guide, ma i pastori di cui parla il profeta, in generale, non avevano capito la cosa fondamentale, che il popolo non era di loro proprietà, ma di Dio! e che quindi non potevano fare quello che volevano, soddisfacendo i propri interessi. Per questo motivo verranno tolti dall’incarico. Chi guiderà allora il popolo? “Io stesso”, dice il Signore e lo fa con gli atteggiamenti propri del vero pastore, attento ad ogni pecora e disponibile a donare la vita per ognuna di esse presentandoci così il suo autoritratto. La Bibbia conosce "infiniti" nomi di Dio. Nel tentativo di dare un volto alla Sua presenza e di riconoscere e descrivere la Sua azione e il Suo amore, gli autori biblici cercano, dentro l'esperienza della vita del loro tempo, le immagini e le metafore più espressive. Una di queste è certamente la figura del pastore bello, buono, amorevole che la Bibbia ci presenta donandoci una preziosa testimonianza.
Parlare di pastori nella nostra società elettronica e mediatica, costituisce un riferimento ad uno scenario bucolico, agreste di altri tempi. Le pecore e i pastori sembrano lontani dal nostro mondo, dal nostro quotidiano, ma se pensiamo bene alle attitudini che caratterizzano il vero pastore possiamo trovare legami profondi col nostro essere educatori oggi.
Il vero pastore è
Responsabile del gregge che gli è affidato: ricordo che il termine responsabile deriva dal latino respònsus, participio passato del verbo respòndere, rispondere cioè, a qualcuno o a se stessi, delle proprie azioni e delle conseguenze che ne derivano. Siamo responsabili di ciò che attraverso il nostro modo di essere, dire, fare trasmettiamo ai nostri educandi consapevoli che la generazione che abbiamo davanti farà la storia di domani e favorirà o rendere difficile la vita di molti uomini
Immagine della cura: “…io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura…”: perciò
-conosce le sue pecore ad una ad una, i loro bisogni, le loro fragilità, il loro "temperamento", il loro passo veloce o zoppicante. Dice la nostra Fondatrice negli scritti del 1841 “…per ben riuscire nell’educazione è necessario che l’educatrice studi ben addentro ,nella mente e nel cuore , l’allieva per conoscere l’indole, le tendenze e le disposizioni…”
-conosce la realtà nella quale le sue pecore vivono: i pericoli dei sentieri, le insidie del cammino, i percorsi scoscesi e i dirupi; sa dove si trovano le sorgenti d'acqua e dove ci sono zone aride e brulle oppure erbose. Conosco io, noi, la realtà dalla quale i nostri affidati provengono? O mi basta sapere il nome imparato perché faccio l’appello al mattino? Mi domando cosa porta nel cuore quel ragazzo che ho davanti e mi guarda magari con sfida e io non lo valuto perché non sa la formula di matematica?
-veglia anche la notte ed è attento al minimo rumore sospetto. Scriveva la nostra Fondatrice nel 1839: ”…sta sempre sorvegliante sopra coteste care pianticelle del Signore onde esser pronta a svellere dalla radice al suo nascere, ogni germoglio di passione… e piantarvi sode virtù: il cuore delle giovinette è come molle cera, e riceve tutte le impressioni che gli si dà…”
-carica, quando è necessario, sulle spalle la pecora zoppicante o ferita ... l
-è dedito al suo gregge: lo ama, lo guida saggiamente verso i pascoli sani e nutrienti e, all'occorrenza, sa difenderlo.
Potremmo riassumere tutti questi atteggiamenti in un solo verbo: vedere. Il pastore vede col cuore e di conseguenza interviene. Ma attenzione, possiamo anche vedere, ma ciò che vediamo, a volte, non trova risonanza nel nostro cuore perché i preconcetti sulle persone ci condizionano perché vogliamo ridurre l’altro a nostra immagine e quindi non aiutiamo l’allievo a crescere nella libertà e responsabilità.
Come possiamo vedere con il cuore? La risposta la troviamo sempre negli scritti della nostra Fondatrice che ci suggerisce di Educare animate dalla carità. Infatti Santa Teresa scrive “Dovete amare sinceramente l’anima delle vostre giovani come l’ ama Iddio stesso”. (Dov. III,366)
E’ una sfida lanciata nel 1800, ma valida oggi nella complessità del contesto nel quale siamo chiamati ad operare, illuminati dalla Parola, dall’esempio di Gesù del quale vorrei sottolineare la passione educativa per tutti coloro che incontra e hanno bisogno non solo di guarigione dalle malattie fisiche, ma soprattutto di orientamento spirituale:
« Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.” (Mc.6,30-34)
Il riferimento al pastore richiama il passaggio positivo di Ezechiele che abbiamo appena letto, e rimanda alla meravigliosa realtà del “bel - buon pastore”, che è Gesù stesso e che cerca – incontra ogni uomo col cuore colmo di tenerezza e di amore. Ma chi è l’uomo che Gesù incontra e davanti al quale si commuove e al quale rivolge tutta la sua attenzione?.
L’uomo che Gesù incontra lungo il suo camminare per le strade della Palestina è l’uomo di ogni tempo che necessita di speranza, perche ha perduto il senso delle cose, il significato della vita stessa. Gesù ama la sua gente e la passione educativa che mostra in ogni suo incontro non può essere compresa altrimenti che a partire dal suo amore per la vita di ognuno, per la vita di tutti gli uomini. Ogni uomo è per lui importante: il giudeo, la cananea, gli apostoli, gli scribi, i peccatori e Maria la Madre sua, gli indemoniati ed i sani, le donne che lo servono ed i poveri, i samaritani ed i greci, il ladrone che sta per morire ed i bambini che egli pone al centro. Ogni gesto di Gesù nasce dall’amore per la vita della persona che vuole realizzata, che vuole salva a costo della Sua stessa vita e perciò nessuno è escluso da questo amore che patisce-con, si muove-con, prova tenerezza nelle sue viscere perché prima Lui vede la persona, la accoglie così come è e poi interviene. Direbbe Papa Francesco che Gesù riconosce l’uomo che incontra dall'odore, lui che con le pecore sperdute, sofferenti, malate si è mischiato per tutta la vita.
L’ atto veramente educativo non consiste nel fare qualcosa, nell’agire, ma nello sforzo del “vedere, capire” chi ci sta di fronte, di cogliere cosa vive, di cosa necessita. Lo sguardo dell’educatore non può essere quello di chi già conosce in anticipo chi ha davanti, perché pensare di sapere impedisce di far domande e quindi di incontrare davvero l’altro. L’educatore tiene gli occhi del cuore aperti sempre per cogliere i piccoli gesti e tutto ciò che vibra in positivo o in negativo nel cuore di chi ha davanti e cercare ciò che può aiutare la crescita dell’affidato: “non si vede bene che col cuore…” (leggiamo “Nel piccolo principe” di A. de S. Exupéry) ed è l’amore per l’altro che ci fa stare accanto con discrezione, con passione, ma, mi ripeto, il primo atto è quello di vedere, di accorgersi della persona che mi guarda e fino a che i due sguardi non si incontrano non scatta la relazione educativa, non scatta la partecipazione. Siamo chiamati oggi più di ieri a vivere quello che la parabola della pecorella smarrita in Mt. 18,12-14 ci presenta.
"Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico : se riesce a trovarla , si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite . Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda.”
La parabola è introdotta dalla forma interrogativa: “Che cosa vi pare?” Con questa domanda Gesù intende allertare i suoi interlocutori e richiamare la loro attenzione. “Che cosa vi pare, presidi, educatrici, insegnanti, gestori se ?” infiniti possono essere gli esempi del se… in positivo e in negativo …. a noi il pensarli.
Segue il racconto diviso in tre momenti:
Nel primo è presentato il protagonista: un proprietario che possiede un gregge numeroso di cento pecore, ne smarrisce una, si muove, lascia le sue sicurezze, torna sui suoi passi, cioè torna indietro, per andare a cercarla perché ha il cuore buono e conosce il valore di quella pecorella. Si potrebbe pensare che la perdita di una pecora non abbia molta importanza, ma per il pastore bello no, è importante, egli abbandona le altre novantanove al sicuro per andare in cerca di quella smarrita

Nel secondo il protagonista si mette alla ricerca dell’unica pecora smarrita.
Questo è il cuore della parabola: è il pastore sollecito che va in cerca della pecora smarrita ed è pieno di gioia quando la sua ricerca va a buon fine. A prima vista il comportamento del pastore sconcerta. Lascia le altre novantanove, sui monti, senza che nessuno le assista. Questo comportamento paradossale è un invito a uscire dai parametri dei calcoli e delle misure umane. Si tratta di entrare nella logica del Padre: per Lui ogni uomo è valore assoluto e, in quanto tale, è amato.
Riferendosi a questa parabola l’Arcivescovo Vietnamita F.X. Van Thuan , dice che Gesù non conosce la matematica: per lui “uno equivale a novantanove, e forse pure di più! Chi accetterebbe mai questo? Ma la sua misericordia si estende di generazione in generazione…” Oggi papa Francesco direbbe che siamo chiamati a lasciare l’unica pecorella al sicuro per cercare le 99 perse.
E’ la logica dell’amore, che si dona senza calcoli ed entrarvi è fatica oggi come allora. Ma è profondamente coerente con l’essere di Dio che si è rivelato in Gesù Cristo che per amore dell’umanità muore in Croce.
Matteo parla di pecora perduta ma utilizza il verbo greco planàn che all’attivo significa ingannare, sedurre e al passivo suggerisce l’idea dell’errare, smarrirsi, fuorviare. Dunque non parla di qualcuno che si è perso ma di qualcuno che va errando o corre il rischio di smarrirsi o fuorviarsi. Questi particolari non sono irrilevanti, dicono ancora di più a noi che siamo continuamente chiamati a vigilare affinchè l’alunno, lo studente che rischia di smarrirsi, o si è fuorviato ed erra, deve essere aiutato a ritornare ma proprio grazie al nostro sguardo attento e amoroso che lo segue, che lo raggiunge.
Nel terzo e ultimo momento l’esito è positivo: la gioia del ritrovamento per la pecorella ritrovata e riportata fra le novantanove che non si erano smarrite. Il fatto di aver lasciato le novantanove per cercare la smarrita, indica quanto quest’ultima valga agli occhi del pastore. Lo studente, l’alunno, che noi facciamo fatica ad accogliere perché difficile, perché smarrito, sta a cuore al Padre: è il centro dei Suoi pensieri e delle Sue cure e la gioia che nasce dal ritrovamento avvenuto, è certamente proporzionale all’attesa e al valore della persona che si attende.
“Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda …”: questa è la volontà del Padre per ognuno di noi chiamati ad esercitare il ministero altissimo dell’educazione e cioè: che nessuno dei nostri affidati si allontani dal progetto che il Padre ha su di lui, ma soprattutto che noi li aiutiamo a realizzarlo.
Termino ripetendo una frase che ho detto all’inizio e vi invito a ripeterla, quasi come un mantra, soprattutto quando siamo, siete tentati di non credere nel valore della missione che vi è stata donata: ” siamo chiamati a consegnare la vita dei nostri educandi al futuro” 
                                                                  Suor Lorenza Morelli Sup. Provinciale FSCJ

 

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