Educatori e Carisma

 VERONA,  settembre....
  Ai Gestori- ai Presidi

         ai docenti ed educatori 
Carissimi, siamo all’inizio di un nuovo anno scolastico durante il quale siamo invitati a guardare i nostri affidati con occhi nuovi, con cuore aperto, pieno di speranza e di fiducia nel cammino che siamo chiamati a realizzare con loro, senza chiuderci nel nostro recinto di conoscenze acquisite, di metodi educativi sperimentati, sempre pronti ad aprirci al nuovo che la realtà di ogni giorno ci presenta attraverso le domande, le esigenze dei nostri alunni e a metterci a servizio della loro crescita nel dono totale di noi stessi perché l’educazione è:
- “ un ministero altissimo e divino“ (scriveva Santa Teresa nel lontano 1800 )che domanda continuamente di uscire da noi per incontrare l’altro. L’educare è vocazione, non è una professione qualunque poiché siamo chiamati a servire per far crescere quella porzione di umanità che ci è affidata da Dio per realizzare il progetto che Dio stesso ha su questa umanità e quindi siamo chiamati a consegnare la vita dei nostri educandi al futuro.
- la luce che illumina il cammino dei nostri educandi per aiutarli a crescere affinchè imparino a vivere e diventino uomini e donne adulte e mature, capaci di camminare, di percorrere la strada della vita con onestà e nella ricerca del meglio per loro e per tutti quelli che incontreranno
- l’atteggiamento del pastore che conosce le sue pecore, le chiama per nome ed è pronto a dare la vita per ognuna di loro
- la logica del seme che se non muore non può dare frutto
- farsi cibo poiché di giorno in giorno, di ora in ora siamo chiamati a sfamare l’intelligenza, il cuore dei nostri ragazzi e quindi a donare qualcosa di nostro perché loro crescano. Ripetiamoci spesso:”Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba.” (Paradiso Canto X,25) Parafrasando liberamente Dante diciamo in cuor nostro: ora, ragazzo mio, resta pure seduto al tuo banco a meditare su quello di cui ti ho offerto soltanto un assaggio, se vuoi provare la gioia che non lascia avvertire la stanchezza. Ti ho messo in tavola il cibo: ormai puoi servirti da solo…
Ecco perché si è scelto, per quest’anno, l’impegno educativo “ Do la mia vita ” da concretizzare attraverso un cammino di partecipazione tra noi educatori, coi nostri affidati, le loro famiglie e la società.
Desidero che la Parola di Dio, luce ai nostri passi, illumini il cammino che siamo chiamati a percorrere insieme quest’anno e parto dalla Parola che il Signore rivolge al Profeta Ezechiele perchè animi col cuore i pastori ai quali è affidato il popolo d’Israele. Anche a noi sono affidate persone da condurre, da guidare ecco perchè l’ascolto di ciò che Ezechiele (34,2b-6;11-16) dice ai suoi può aiutare la nostra riflessione.
“Dice il Signore Dio: Guai ai pastori d'Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite… Per colpa del pastore si sono disperse e son preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate. Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura……
Dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Le ritirerò dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti d'Israele, nelle valli e in tutte le praterie della regione. Le condurrò in ottime pasture e il loro ovile sarà sui monti alti d'Israele; là riposeranno in un buon ovile e avranno rigogliosi pascoli sui monti d'Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia.”
Al tempo di Ezechiele chi veniva identificato con la figura del pastore? Coloro che avevano campiti di guida e cioè i re, i giudici, i profeti, i sacerdoti, le guide, ma i pastori di cui parla il profeta, in generale, non avevano capito la cosa fondamentale, che il popolo non era di loro proprietà, ma di Dio! e che quindi non potevano fare quello che volevano, soddisfacendo i propri interessi. Per questo motivo verranno tolti dall’incarico. Chi guiderà allora il popolo? “Io stesso”, dice il Signore e lo fa con gli atteggiamenti propri del vero pastore, attento ad ogni pecora e disponibile a donare la vita per ognuna di esse presentandoci così il suo autoritratto. La Bibbia conosce "infiniti" nomi di Dio. Nel tentativo di dare un volto alla Sua presenza e di riconoscere e descrivere la Sua azione e il Suo amore, gli autori biblici cercano, dentro l'esperienza della vita del loro tempo, le immagini e le metafore più espressive. Una di queste è certamente la figura del pastore bello, buono, amorevole che la Bibbia ci presenta donandoci una preziosa testimonianza.
Parlare di pastori nella nostra società elettronica e mediatica, costituisce un riferimento ad uno scenario bucolico, agreste di altri tempi. Le pecore e i pastori sembrano lontani dal nostro mondo, dal nostro quotidiano, ma se pensiamo bene alle attitudini che caratterizzano il vero pastore possiamo trovare legami profondi col nostro essere educatori oggi.
Il vero pastore è
Responsabile del gregge che gli è affidato: ricordo che il termine responsabile deriva dal latino respònsus, participio passato del verbo respòndere, rispondere cioè, a qualcuno o a se stessi, delle proprie azioni e delle conseguenze che ne derivano. Siamo responsabili di ciò che attraverso il nostro modo di essere, dire, fare trasmettiamo ai nostri educandi consapevoli che la generazione che abbiamo davanti farà la storia di domani e favorirà o rendere difficile la vita di molti uomini
Immagine della cura: “…io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura…”: perciò
-conosce le sue pecore ad una ad una, i loro bisogni, le loro fragilità, il loro "temperamento", il loro passo veloce o zoppicante. Dice la nostra Fondatrice negli scritti del 1841 “…per ben riuscire nell’educazione è necessario che l’educatrice studi ben addentro ,nella mente e nel cuore , l’allieva per conoscere l’indole, le tendenze e le disposizioni…”
-conosce la realtà nella quale le sue pecore vivono: i pericoli dei sentieri, le insidie del cammino, i percorsi scoscesi e i dirupi; sa dove si trovano le sorgenti d'acqua e dove ci sono zone aride e brulle oppure erbose. Conosco io, noi, la realtà dalla quale i nostri affidati provengono? O mi basta sapere il nome imparato perché faccio l’appello al mattino? Mi domando cosa porta nel cuore quel ragazzo che ho davanti e mi guarda magari con sfida e io non lo valuto perché non sa la formula di matematica?
-veglia anche la notte ed è attento al minimo rumore sospetto. Scriveva la nostra Fondatrice nel 1839: ”…sta sempre sorvegliante sopra coteste care pianticelle del Signore onde esser pronta a svellere dalla radice al suo nascere, ogni germoglio di passione… e piantarvi sode virtù: il cuore delle giovinette è come molle cera, e riceve tutte le impressioni che gli si dà…”
-carica, quando è necessario, sulle spalle la pecora zoppicante o ferita ... l
-è dedito al suo gregge: lo ama, lo guida saggiamente verso i pascoli sani e nutrienti e, all'occorrenza, sa difenderlo.
Potremmo riassumere tutti questi atteggiamenti in un solo verbo: vedere. Il pastore vede col cuore e di conseguenza interviene. Ma attenzione, possiamo anche vedere, ma ciò che vediamo, a volte, non trova risonanza nel nostro cuore perché i preconcetti sulle persone ci condizionano perché vogliamo ridurre l’altro a nostra immagine e quindi non aiutiamo l’allievo a crescere nella libertà e responsabilità.
Come possiamo vedere con il cuore? La risposta la troviamo sempre negli scritti della nostra Fondatrice che ci suggerisce di Educare animate dalla carità. Infatti Santa Teresa scrive “Dovete amare sinceramente l’anima delle vostre giovani come l’ ama Iddio stesso”. (Dov. III,366)
E’ una sfida lanciata nel 1800, ma valida oggi nella complessità del contesto nel quale siamo chiamati ad operare, illuminati dalla Parola, dall’esempio di Gesù del quale vorrei sottolineare la passione educativa per tutti coloro che incontra e hanno bisogno non solo di guarigione dalle malattie fisiche, ma soprattutto di orientamento spirituale:
« Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.” (Mc.6,30-34)
Il riferimento al pastore richiama il passaggio positivo di Ezechiele che abbiamo appena letto, e rimanda alla meravigliosa realtà del “bel - buon pastore”, che è Gesù stesso e che cerca – incontra ogni uomo col cuore colmo di tenerezza e di amore. Ma chi è l’uomo che Gesù incontra e davanti al quale si commuove e al quale rivolge tutta la sua attenzione?.
L’uomo che Gesù incontra lungo il suo camminare per le strade della Palestina è l’uomo di ogni tempo che necessita di speranza, perche ha perduto il senso delle cose, il significato della vita stessa. Gesù ama la sua gente e la passione educativa che mostra in ogni suo incontro non può essere compresa altrimenti che a partire dal suo amore per la vita di ognuno, per la vita di tutti gli uomini. Ogni uomo è per lui importante: il giudeo, la cananea, gli apostoli, gli scribi, i peccatori e Maria la Madre sua, gli indemoniati ed i sani, le donne che lo servono ed i poveri, i samaritani ed i greci, il ladrone che sta per morire ed i bambini che egli pone al centro. Ogni gesto di Gesù nasce dall’amore per la vita della persona che vuole realizzata, che vuole salva a costo della Sua stessa vita e perciò nessuno è escluso da questo amore che patisce-con, si muove-con, prova tenerezza nelle sue viscere perché prima Lui vede la persona, la accoglie così come è e poi interviene. Direbbe Papa Francesco che Gesù riconosce l’uomo che incontra dall'odore, lui che con le pecore sperdute, sofferenti, malate si è mischiato per tutta la vita.
L’ atto veramente educativo non consiste nel fare qualcosa, nell’agire, ma nello sforzo del “vedere, capire” chi ci sta di fronte, di cogliere cosa vive, di cosa necessita. Lo sguardo dell’educatore non può essere quello di chi già conosce in anticipo chi ha davanti, perché pensare di sapere impedisce di far domande e quindi di incontrare davvero l’altro. L’educatore tiene gli occhi del cuore aperti sempre per cogliere i piccoli gesti e tutto ciò che vibra in positivo o in negativo nel cuore di chi ha davanti e cercare ciò che può aiutare la crescita dell’affidato: “non si vede bene che col cuore…” (leggiamo “Nel piccolo principe” di A. de S. Exupéry) ed è l’amore per l’altro che ci fa stare accanto con discrezione, con passione, ma, mi ripeto, il primo atto è quello di vedere, di accorgersi della persona che mi guarda e fino a che i due sguardi non si incontrano non scatta la relazione educativa, non scatta la partecipazione. Siamo chiamati oggi più di ieri a vivere quello che la parabola della pecorella smarrita in Mt. 18,12-14 ci presenta.
"Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico : se riesce a trovarla , si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite . Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda.”
La parabola è introdotta dalla forma interrogativa: “Che cosa vi pare?” Con questa domanda Gesù intende allertare i suoi interlocutori e richiamare la loro attenzione. “Che cosa vi pare, presidi, educatrici, insegnanti, gestori se ?” infiniti possono essere gli esempi del se… in positivo e in negativo …. a noi il pensarli.
Segue il racconto diviso in tre momenti:
Nel primo è presentato il protagonista: un proprietario che possiede un gregge numeroso di cento pecore, ne smarrisce una, si muove, lascia le sue sicurezze, torna sui suoi passi, cioè torna indietro, per andare a cercarla perché ha il cuore buono e conosce il valore di quella pecorella. Si potrebbe pensare che la perdita di una pecora non abbia molta importanza, ma per il pastore bello no, è importante, egli abbandona le altre novantanove al sicuro per andare in cerca di quella smarrita

Nel secondo il protagonista si mette alla ricerca dell’unica pecora smarrita.
Questo è il cuore della parabola: è il pastore sollecito che va in cerca della pecora smarrita ed è pieno di gioia quando la sua ricerca va a buon fine. A prima vista il comportamento del pastore sconcerta. Lascia le altre novantanove, sui monti, senza che nessuno le assista. Questo comportamento paradossale è un invito a uscire dai parametri dei calcoli e delle misure umane. Si tratta di entrare nella logica del Padre: per Lui ogni uomo è valore assoluto e, in quanto tale, è amato.
Riferendosi a questa parabola l’Arcivescovo Vietnamita F.X. Van Thuan , dice che Gesù non conosce la matematica: per lui “uno equivale a novantanove, e forse pure di più! Chi accetterebbe mai questo? Ma la sua misericordia si estende di generazione in generazione…” Oggi papa Francesco direbbe che siamo chiamati a lasciare l’unica pecorella al sicuro per cercare le 99 perse.
E’ la logica dell’amore, che si dona senza calcoli ed entrarvi è fatica oggi come allora. Ma è profondamente coerente con l’essere di Dio che si è rivelato in Gesù Cristo che per amore dell’umanità muore in Croce.
Matteo parla di pecora perduta ma utilizza il verbo greco planàn che all’attivo significa ingannare, sedurre e al passivo suggerisce l’idea dell’errare, smarrirsi, fuorviare. Dunque non parla di qualcuno che si è perso ma di qualcuno che va errando o corre il rischio di smarrirsi o fuorviarsi. Questi particolari non sono irrilevanti, dicono ancora di più a noi che siamo continuamente chiamati a vigilare affinchè l’alunno, lo studente che rischia di smarrirsi, o si è fuorviato ed erra, deve essere aiutato a ritornare ma proprio grazie al nostro sguardo attento e amoroso che lo segue, che lo raggiunge.
Nel terzo e ultimo momento l’esito è positivo: la gioia del ritrovamento per la pecorella ritrovata e riportata fra le novantanove che non si erano smarrite. Il fatto di aver lasciato le novantanove per cercare la smarrita, indica quanto quest’ultima valga agli occhi del pastore. Lo studente, l’alunno, che noi facciamo fatica ad accogliere perché difficile, perché smarrito, sta a cuore al Padre: è il centro dei Suoi pensieri e delle Sue cure e la gioia che nasce dal ritrovamento avvenuto, è certamente proporzionale all’attesa e al valore della persona che si attende.
“Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda …”: questa è la volontà del Padre per ognuno di noi chiamati ad esercitare il ministero altissimo dell’educazione e cioè: che nessuno dei nostri affidati si allontani dal progetto che il Padre ha su di lui, ma soprattutto che noi li aiutiamo a realizzarlo.
Termino ripetendo una frase che ho detto all’inizio e vi invito a ripeterla, quasi come un mantra, soprattutto quando siamo, siete tentati di non credere nel valore della missione che vi è stata donata: ” siamo chiamati a consegnare la vita dei nostri educandi al futuro” 
                                                                  Suor Lorenza Morelli Sup. Provinciale FSCJ

 

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